Amedeo Brogli, nato in Lucania nel 1948, vive e lavora a Roma nel mondo dell'arte e dello spettacolo; Pittore e scenografo, è stato anche collaboratore di Renato Guttuso nelle ultime grandi opere e adesso debutta nella narrativa con il racconto lungo "La Quadreria" (Edizioni DEd'A - Roma, pagg. 218, € 15,00): ambientato in un paese lucano, "La Quadreria" conduce il lettore nell'Ottocento italiano, di un sud Italia periferico e vivace, fatto di ricchi borghesi e poveri analfabeti, nel periodo storico che prepara e attraversa la storia dell'Unità d'Italia, fino ai sixties del secolo scorso, portandolo alla condivisione di una memoria collettiva. Uscirà ai primi di ottobre e in anteprima Fattitaliani ha intervistato l'autore Amedeo Brogli.


Dal pennello alla penna: un passaggio del tutto naturale e indolore?

Dipende! Si può anche "dipingere" con la penna e per un pittore è più naturale di quanto possa sembrare, tanto più se, come nel caso de "La Quadreria", si tratta di una avventurosa storia di quadri e di quadri di valore, valore artistico e valore affettivo: perché, infatti, quei quadri erano l'eredità che una famiglia illuminata aveva lasciato a tutti i cafoni del loro piccolo paese del sud, Palazzo S. Gervasio, il mio paese, cafoni che hanno lottato e pagato anche con la loro vita la ribellione allo scippo di quel valore culturale di cui potevano godere liberamente anche se non erano certo in grado di capirne i significati e il valore strettamente artistico.


In lei che effetto diverso sortisce la narrazione scritta da quella visiva?

La mia è una pittura figurativa, riproposta in chiave moderna e dai forti cromatismi. Nei miei dipinti, quindi, la "narrazione", la "descrizione" è un elemento base che dà vigore e forza all'opera che si sustanzia di simbologie e di rimandi colti; l'attenzione per il dettaglio, la cura della scelta coloristica spatolata, grattata o colata in ampie campiture sono fondamentali così come nello scritto. Diciamo che dipingo come se narrassi, e scrivo come se dipingessi e la cosa è del tutto naturale, l'effetto è sempre di forte emozione e piacere quasi fisico.

Il paese lucano in cui è ambientata la storia è Palazzo S. Gervasio?

Sì, è Palazzo San Gervasio, il mio piccolo e antico paese del profondo sud, amato tanto da dedicargli questo racconto lungo nato da una storia vera, che io mi sono semplicemente limitato a mettere in ordine e per iscritto, perché non andasse perduta la memoria di sogni, amori, odi, tradimenti, speranze che hanno segnato il profilo sociale di quella comunità.

Quale dei personaggi le assomiglia di più?

C'è da dire che questa storia è un viaggio attraverso centocinquanta anni e i personaggi si succedono come in una saga, anche se il mio scritto è agile, non lungo e di facile lettura; nell'ultimo capitolo, ambientato negli anni sessanta del '900, c'è un personaggio che non solo mi assomiglia ma che è il mio "avatar", Teofilo, trasposizione colta di Amedeo, che è il mio nome, ha un chiaro rimando autobiografico. Sono io che in età adolescenziale, con qualche amico sensibile e attento, scopro lo scempio che era stato perpetrato ai danni della nostra comunità tra l'indifferenza di tutti, politici compresi, e cominciai a fare ricerche e studi su quegli accadimenti.

Rispetto alla loro caratterizzazione, in che cosa oggi i lucani sono rimasti uguali e in che cosa sono cambiati?

Mi verrebbe da dire che nei lucani di oggi è rimasta intatta una certa semplicità e onestà di fondo assieme ad una remissività, che ritrovo più facilmente nei vecchi, che troppo spesso ha permesso e permette a politici scaltri e furbi di non operare proprio al meglio per la loro terra. I giovani sono più colti ma i problemi della situazione economica generale deprimono anche quelle contrade spegnendo gli entusiasmi e soffocando le speranze, così l'emigrazione, piaga e condanna par molti nonni analfabeti , rischia di riaffacciarsi ora in maniera seria per i nipoti laureati.

tratto da fattiitaliani.it