Sarà la più grande biblioteca multimediale della regione, costruita e gestita con fondi privati.

LA BIBLIOTECA di PALAZZO SAN GERVASIO

libroNonostante il rapido diffondersi dei processi di livellamento culturale ancora nei nostri paesi gli affetti, i ricordi, come gli odi, del resto, permangono tenaci. Per tale motivo, oltre che per le conseguenze di un gesto, di cui si dirà, è stato possibile ricostruire la storia di quello che per brevità chiameremo il Libraio di Palazzo San Gervasio. Da ragazzo, correvano i primi anni del ‘900, faceva il garzone di bottega nel salone di Jucc Sghel (Antonio Caputo), in Corso Manfredi, proprio di fronte alla Pinacoteca e Biblioteca Camillo D’Errico, allora aperta al pubblico. Era lì che trascorreva tutta la giornata del lunedì, da sempre il giorno festivo dei barbieri, incantato davanti ai quadri o perso tra i libri della biblioteca. Affascinato certamente, più dai colori solari della scuola napoletana, è a questa che appartiene buona parte dei quadri, che dalle chiacchiere della critica d’arte, più dal suono nuovo di migliaia di parole, quelle dei libri della Biblioteca, non le stesse del suo povero vocabolario quotidiano, che dal loro significato. A sera di quella giornata era la madre che andava, di solito, a riprenderselo. Andò via dal paese trascinato dall’ondata migratoria che seguì l’immediato primo dopoguerra. E’ da immaginare che a Boston, dove si era stabilito, dovette coltivare oltre agli affari anche una sorta d’amore rancoroso verso questo suo paese che lo aveva cacciato con l’altra buona metà dei suoi figli. Si promise certamente di non tornare più e non lo fece nemmeno il 1928 quando vi morì la madre, Filomena Mucciante. Scommettere contro il destino è da pazzi, dicono qui, gli anziani. Scese da un taxi, targato Bari, dove, era sbarcato, una mattina del Settembre 1955. Nessuno riconobbe nel signore elegante e già avanti con l’età, il ragazzetto partito cinquant’anni prima con la valigia di cartone e le toppe ai pantaloni per la ricca America. Pure quell’aria familiare di modestia che non abbandona mai i lucani, indipendentemente dal ceto o dalla professione, era un segno di riconoscimento certo. Si fermò in paese meno di dodici ore; il tempo per una breve visita alla casa materna, in Via Forcella 5, una al cimitero ed ai rari parenti superstiti. Ebbe, ricorda Donato Giordano che allora, ragazzo, lo accompagnò, un solo momento di commozione, quello davanti al portone sbarrato della sua amata Pinacoteca d’Errico. A Boston nessuno gli aveva detto che i 298 quadri del XVII e XVIII sec., le centinaia di stampe dello stesso periodo e gli 8000 volumi, della raccolta omonima, lasciati con testamento del 1897 da Camillo D’Errico ai suoi concittadini, erano stati trafugati il 1939 e portati a Matera, dove ancora oggi si trovano detenuti. Cosa pensò in quegli attimi eterni davanti alle porte chiuse? Rivide forse sfilare i ghigni odiosi dei predoni che nel corso dei secoli avevano razziato queste terre e quelli anche più detestabili dei furfanti nostrani, i vicini di casa, i fascisti di ieri ed i caciottari di oggi, privi anche della coerenza ideologica di quelli. Ripensò a Carlo Levi e a quel suo “libro della guerra civile che continua ancora”: Cristo si è Fermato ad Eboli.

Il furto della Pinacoteca, si disse, non è che un altro episodio di quella stessa guerra.

Onestamente non possiamo dire se furono proprio queste o altre più amare, le considerazioni che passarono nella mente del nostro viaggiatore. Si limitò a dire, ricorda Giordano, - Palazzo deve avere la sua Biblioteca-. Ripartì la stessa sera per Roma, destinazione Boston.

L’episodio, per quanto commovente, fu presto dimenticato, anche perché in quegli anni,1955-1965, un nuovo movimento migratorio lacerò, ancora una volta, il tessuto sociale dei paesi lucani e con questo i comuni ricordi, gli affetti, ciò, in breve che si definisce l’identità locale. Giuseppe Mucciante, questo il nome da ragazzo del nostro protagonista, morì di lì a non molto, era già innanzi con l’età all’epoca della sua rapida visita al paese natio. Il 1978, proprio quando più nessuno vi sperava, arrivò una pioggia di soldi su alcuni cittadini di Palazzo S.G. e sulla stessa Amministrazione Comunale. Nel Testamento, a firma della moglie Mary Agostine, si destinava la somma di un milione di dollari per l’istituzione in Palazzo San Gervasio, di una biblioteca intestata a “ Joseph and Mary Agostine Memorial Library ”. Ben due testamenti, con uguale contenuto, toccano, a distanza di ottant’anni, questa collettività nel Nord-Est della Basilicata, se in ciò bisogna vedere un segno del destino o altro, decida chi legge. biblioteca

Oggi la biblioteca è stata inaugurata presso l’ex piazzetta coperta, locali ristrutturati per l’occasione, e quel ragazzetto che era partito da Palazzo San Gervasio ha visto realizzato il suo sogno!