Il sodalizio a fianco dell’Archidiocesi di Acerenza.
E’ in atto una collaborazione con la Caritas a Palazzo San Gervasio.

Per chi non ha avuto la fortuna di conoscere Mons. Giovanni Ricchiuti, l’incontro presso il palazzo vescovile di Acerenza è stata la riprova di una Chiesa senza fronzoli, tutta protesa nell’andare incontro alle esigenze di chi è in difficoltà.
Ancora bruciano all’arcivescovo le polemiche sul Campo di Accoglienza di Palazzo San Gervasio; ancora generano disagio e tormento le tante riunioni svoltesi in stanze troppo lontane dalla trincea del Campo, i passi in avanti fatti troppo lentamente rispetto ad una emergenza umanitaria che non può aspettare i riti della politica, delle Pubbliche Amministrazioni.
Il pastore diocesano è un fiume in piena a margine della firma dell’accordo con la Croce rossa; si legge dal suo volto una forte ed ispirata determinazione nell’offrire garanzie ai tanti lavoratori che nel periodo della raccolta degli ortaggi in massa giungono dall’Africa.
Da settembre a novembre, grazie all’Archidiocesi e alla CRI ci sarà una protezione sanitaria in più per i tanti migranti che per pochi euro lasciano la propria terra, i propri affetti.
La Croce rossa è scesa in campo con grande determinazione affidando la delicata gestione dei servizi al Commissario delle Infermiere Volontarie Gabriella Sarli e al Commissario dei Volontari del Soccorso di Acerenza (su espressa delega del Commissario provinciale Michele Quagliano) Vincenzo Anobile.
Fondamentale il ruolo di raccordo del volontariato Mimmo Zirpoli che ha curato i rapporti tra le istituzioni.
Tutte le componenti sono al lavoro per offrire il massimo.
Tra gli operatori della Caritas diocesana impegnati in prima linea a dare concreto aiuto a questi lavoratori Luciana Forlino, con il pc portatile, impegnata a rispondere in serie alle domande della delegazione CRI.
Asciutta, essenziale, determinata è l’immagine di una gioventù cattolica che non si tira indietro, che alla retrovia sceglie l’avanguardia.
 
Luciana, da quando è impegnata nel campo di Palazzo?
La presenza massiccia di lavoratori africani si presenta ormai da circa 15 anni. Come volontari, soprattutto in una prima fase, portavamo soccorso sorretti solamente da tanta buona volontà, ma avvertivamo tanta inadeguatezza rispetto alla vastità del problema.
Cercavamo disperatamente di dare voce agli “invisibili” perché ritengo sia assurdo che non si potesse essere definitivamente in grado di prevedere nel piano sociale un capitolo inerente a tale problematica con un relativo progetto di intervento.
Da due anni abbiamo tentato di dare maggiore organicità ai nostri interventi coinvolgendo anche altre associazioni.
Devo dire che nel corso del tempo si è avuta un’attenzione specifica ad iniziare dall’Arcivescovo mons. Giovanni   Ricchiuti, al dott. Pietro Simonetti (Presidente della Commissione Regionale dei Lucani all’Estero) che hanno gettato le basi per una serie di interventi ragionati e, dunque, più rispondenti alle esigenze dei migranti.
La stessa Amministrazione Comunale di Palazzo San Gervasio, che ha realizzato l’area attrezzata, è impegnata a dare decoro alla vita di questi lavoratori.
 
                Quante persone possono essere ospitate nel campo?
Non vi sono numeri specifici, diciamo alcune centinaia.
 
                Lei parlava di ambiente decoroso. Si sente soddisfatta delle condizioni del campo di accoglienza?
Direi una bugia se dicessi che sono soddisfatta; c’è tantissimo ancora da fare. Io spero davvero che si potrà arrivare a condizioni dignitose.
Per quanto nella vita io sia abituata a fra “battaglia” per difendere i diritti umani, devo dire che a questo punto non ci sono polemiche da sollevare ma, al contrario, bisogna guardare a quelli che sono stati i progressi all’interno dell’area.
E’ ovvio che siamo ancora molto ma molto lontani da quello che può essere definito un “campo di accoglienza” a tutti gli effetti, ma grandi passi avanti sono stati percorsi al galoppo e, si sa, i “miracoli umani” arrivano pian piano.
L’anno scorso tutti gli immigrati presenti nell’area dormivano per terra, sotto le stelle; ora un letto è assicurato così come un tetto. Fino a 200 persone queste condizioni sono assicurate. Per gli altri cerchiamo di fare tutto quello che per un volontario è umanamente possibile.
L’altro salto di qualità è il protocollo d’intesa siglato con la Cri dall’Arcivescovo Ricchiuti che prevede ogni sera una presenza infermieristica e con costanza anche una presenza medica.
Vi assicuro che è davvero un bel traguardo.
 
                Come arrivano questi lavoratori la sera al campo?
Beh, bisogna attendersi di tutto. Vi sono persone stremate, con tagli, infezioni dovute alla giornata di lavoro. In alcuni campi vengono usati pesticidi che provocano ai ragazzi reazioni allergiche, vomito, eritemi. I dolori articolari poi sono all’ordine del giorno.
Tengo a precisare un dato importantissimo: fino allo scorso anno gli immigrati che arrivavano nelle nostre zone erano lavoratori stagionali abituati alle campagne; quest’anno aprlano perfettamente l’italiano con un accento del nord ineguagliabile … La fascia di età varia tra i 19 ed i 30 anni e sui permessi di soggiorno leggiamo “operaio”. La crisi delle fabbriche metal meccaniche del nord Italia ha lasciato anche questa gente senza lavoro e, si sa, per l’immigrato la condizione di “straniero” crea non poche difficoltà anche nel trovare casa.
 
                Lei nei giorni scorsi ha evidenziato tutta una serie di esigenze concrete di cui il Campo ha bisogno.
Si, abbiamo bisogno di farmaci così come anche di generi alimentari e vestiario. Al momento pochissimi lavorano, dunque c’è bisogno di tutto.
Il mio non è soltanto un appello alla raccolta dell’occorrente ma un vero invito a far sì che questi prodotti vengano consegnati direttamente da chi si rende protagonista di una donazione; è importante che le persone “tocchino con mano” quella che è la vita di questa gente all’interno del campo.
 
                Come questa esperienza sta cambiando la vita alla volontaria Luciana Forlino ?
E’ un’esperienza che non può lasciare indifferenti.
Condividere le difficoltà quotidiane con queste persone arricchisce interiormente, permette di guardare con occhi diversi alla vita.
Ma non sento di fare una cosa eccezionale, applico quello che ci viene insegnato la domenica dagli altari.
Aiutare il prossimo in difficoltà, mettere in pratica i valori dell’accoglienza e della fraternità per un cattolico dovrebbe essere la consuetudine, la normalità.
Colgo l’occasione per dire che l’impegno nel Campo, oltre alla Caritas ed alla CRI, è sostenuto anche da altri sodalizi: “Torre Ardente” sodalizio di Protezione Civile, l’Associazione di volontariato “Ruah”, la Caritas parrocchiale e l’Associazione ” Amica”.
 
                Come ha accolto la popolazione circostante la presenza di questi ospiti che, ricordiamo, sono posti alla periferia di Palazzo San Gervasio ?
                Non vi è una grande integrazione. Vi sono ancora tanti pregiudizi e soprattutto tanta paura.
Certo, con la tenacia sconfiggeremo tanti luoghi comuni che generano un danno enorme nel processo di integrazione.
Il programma che le associazioni di volontariato si prefiggono è quello di una sensibilizzazione a tappeto. Porteremo sempre più frequentemente questa gente a vivere il quotidiano nelle strade del paese, la coinvolgeremo nelle attività associative. Ci sono in programma serate contro il razzismo e a partire da ottobre proveremo a coinvolgere anche le scuole.
Un primo esempio è partito il 12 agosto scorso, giornata nella quale l’Associazione di volontariato “Ruah” ha organizzato una manifestazione sportiva dal titolo “Giochi Senza Confine” che ha avuto il merito di coinvolgere otto squadre di otto Comuni diversi. Una in particolare era composta proprio da questi lavoratori in rappresentanza della magica Africa.
 
                Cosa rappresenta l’Africa per lei ?
Si ha la sensazione, prendendo un aereo, di sbarcare su un altro pianeta.
L’Africa è un continente meraviglioso, magico, dove il valore di un sorriso lo si sente a pelle, con una semplice stretta di mano.
E’ gente che ha da insegnarci tanto.
Concludo dicendo che quello che spero è che questo Tavolo Regionale venga inteso come sede istituzionale stabile di raccordo tra la Regione Basilicata, gli organismi pubblici e quelli del terzo settore che a vario titolo opereranno per contrastare il rischio dell’emarginazione e del degrado umano.
   
(da “FIL ROUGE” - periodico del Comitato Prov. le di Potenza della Croce Rossa Italiana – settembre 2009)