Dal 13 al 30 Agosto si potrà visitare in Palazzo San Gervasio al Corso Manfredi, la personale di fotografia di Pietro Lombardi*.
Foto di Antonio ScardinaleNativo di Palazzo San Gervasio, ma emigrato in Piemonte per motivi di lavoro, Pietro Lombardi ha seguito, nel lontano 1968, un corso di fotografia presso il Centro Culturale della Fiat.
Da allora Pietro ha sempre coltivato con intensità la  passione per la fotografia, sia da arricchire il proprio archivio di centinaia di migliaia di scatti.
Fra le tante, si ricomprendono le foto di personaggi illustri con i quali Pietro ha intrattenuto ed intrattiene ancor oggi, rapporti personali di amicizia.
Fra i tanti meritano una  menzione  Don Luigi Ciotti, nel cui Gruppo Abele, Pietro si è fortificato nella  Torino degli anni ’60 ed il giornalista de “La Stampa” Rocco Moliterni.
La mostra, già esposta in  varie città del Piemonte ed anche presso la Biblioteca Nazionale di Potenza, comprende un centinaio di foto che riproducono  nei volti di coloro che sono stati ritratti, il trascorrere degli anni e di un pezzo di storia della nostra società.
Il passato riaffiora nei ricordi del visitatore rinverdendo la memoria di un tempo che  oggi è diventato anche cultura.
La mostra verrà inaugurata nel pomeriggio del 13 agosto presso la locale sede messa a disposizione dalla CGL e, oltre al Sindaco di Palazzo San Gervasio con altri amministratori locali, ad introdurla interverrà l’Avv. Mario Romanelli che da anni segue le vicende artistiche dell’amico Pietro.

*Pietro Lombardi, come molti lucani, è un testardo. Se decide che vuol fare una cosa non lo smuovi neppure con le cannonate. Io non so quando abbia deciso di volersi cimentare con la fotografia, so che quando l’ho conosciuto girava già con la sua inseparabile macchina fotografica al collo.   Erano, quando l’ho conosciuto, gli Anni ’60,  a noi che, adolescenti, li stavamo vivendo non sembravano poi così straordinari quegli Anni ’60.
Ci sembrava allora tutto sommato normale che uno, se era cattolico o meglio cristiano, non potesse vivere la sua fede standosene con le mani in mano. Di fronte, ad esempio, a quel che succedeva nelle periferie di una città come Torino allora sul punto di esplodere sotto l’onda d’urto dell’emigrazione di massa e di una crescita vertiginosa con un solo obiettivo: produrre più auto.
A pagare il prezzo di quella crescita erano in molti casi ragazzi della nostra stessa età che vivevano, come si diceva allora, problemi di emarginazione e di disadattamento.  Non c’era ancora la droga, ma sarebbe arrivata presto nei quartieri dormitorio delle Vallette o di Mirafiori.
E proprio a Mirafiori c’era Luigi Ciotti , non ancora prete: era lui che spingeva a “sporcarsi le mani per aiutare chi faceva fatica”.  Per questo creò il primo nucleo di quello che sarebbe diventato il “Gruppo Abele”. E fu lì che io conobbi Pietro Lombardi con la sua inseparabile macchina fotografica al collo.  Non c’era incontro, riunione, viaggio, momento pubblico o privato del gruppo senza che Pietro non scattasse almeno tre o quattro rullini.  Allora la cosa non è che ci facesse sempre piacere, a volte lo trovavamo un po’ invadente.  Però oggi senza la sua invadenza e senza quei rullini non avremmo le immagini raccolte in questo libro.
Sono immagini che, sono convinto, riescono a emozionare non solo quelli che si rivedono più giovani o ritrovano, come in un album di famiglia, gli amici che non vedono da tempo Emozionano, perché raccontano un pezzo di storia del nostro paese.

Da un lato ci sono i ragazzi del “Gruppo Abele”, i loro incontri, i campi-scuola (fa forse sorridere oggi quell’aria pensierosa, che Pietro ferma sui volti e negli atteggiamenti), le mille follie (Padre Giannuzzi che porta forse a Ricchiaglio scatole di provviste), campeggi estivi.
 E c’è una foto che sembra quasi Giacomelli, con un girotondo sulla neve e una chitarra, manca    solo la colonna sonora di Sergio Endrigo (“Se tutte le ragazze le ragazze del mondo, si dessero  la mano…”)..  Ma non sono foto “private”: rendono molto bene lo “spirito del tempo” , che attraversava il mondo cattolico, ma non solo. E c’è una foto in qualche modo simbolica: è quella del cardinale Padre Michele Pellegrino, Arcivescovo di Torino, con Don Luigi Ciotti a non so quale incontro.
Tra i due si capisce che c’è una grande sintonia: ed è un po’ come se si passassero il testimone, il cardinale di “Camminare  insieme” e il giovane prete che metterà in pratica i suoi insegnamenti: l’idea di una Chiesa capace di dialogare con il resto della società e i suoi problemi.
Dall’altro ci sono le facce e le vite di quella Lucania che Pietro non ha mai dimenticato: le donne che parlano avanti all’uscio di casa, i vecchi dalla pelle rugosa che hanno solo i contadini, le donne emigrate con i capelli cotonati e le valige alla stazione di quando si tornava per le ferie, il ragazzo che fa il muratore in quel paesino del Sud e da solo vale mille inchieste sul lavoro.
Attraversa tutto il libro l’interesse dell’autore per i volti:  di ragazze, di anziani o di bambini: lui li mette lì in primo piano e ci ritrovi nella composizione l’aria di certi film nouvelle  vague o esistenziali.
Non mancano qua e là personaggi pubblici, quelli che erano famosi già allora, ma molto più giovani: Vittorio Gassman, Gigi Proietti, Paolo Villaggio, Renzo Arbore hanno ancora tutti i capelli neri.  Il libro riesce a restituirci di quegli anni non solo gli abiti e le capigliature, ma anche lo spirito e gli ideali,  riesce in qualche modo a farci capire che quelli sono stati davvero anni straordinari: è un gran bel risultato.  Di cui dobbiamo ringraziare la testardaggine lucana di Pietro Lombardi.
                                   
Giornalista de “La Stampa”
Rocco MOLITERNI