Si è spento, dopo aver combattuto a lungo una impari battaglia contro una malattia

terribile, Giuseppe D’Errico, per l’intera comunità Peppino, già sindaco di Palazzo San Gervasio.
Punto di riferimento per quanti, sia nel paese, sia in senso più esteso, intraprendessero l’impegno politico con spirito di servizio, come bene supremo e virtù. Studioso ed uomo di cultura ha speso tutta la sua vita per il ritorno a Palazzo S.G. della Collezione d’Errico, raccolta di tele e di libri, frutto del lascito del Cav. Camillo d’Errico a beneficio della comunità Palazzese.
Non era la sua una stupida lotta di campanile: era l’atto d’amore massimo per la sua comunità, era l’impossessarsi dello spirito più intimo e nascosto del suo paese. Era stato conservatore dell’Ente morale Camillo d’Errico. Aveva salutato con somma gioia, unitamente all’allora Sindaco Antonio Amendola, l’esposizione di 70 dei 298 capolavori. Questo avveniva circa un decennio orsono. Le ansie per le sentenze sulla proprietà, per le leggi che si volevano approvare, miranti a lasciare a Matera la disponibilità dei quadri, le aveva vissute e condivise con tutti: politici ed intellettuali, ma soprattutto con la sua gente, con tutti i cittadini di Palazzo. “Da settant’anni – questo è quanto ci affidava in una delle sue ultime interviste il compianto Peppino - noi palazzesi siamo stati espropriati del nostro patrimonio più prezioso: la Biblioteca e Pinacoteca Camillo D’Errico, un’ingente raccolta d’arte. Stiamo parlando di qualcosa il cui valore venale si aggira intorno ai cento milioni di euro.” Il desiderio più grande di Peppino era quello di poter vedere esposto nel palazzo della Pinacoteca, in maniera stabile, il lascito del Cav. Camillo d’Errico ai palazzesi, avvenuto con testamento segreto, letto il 2 novembre 1897, due giorni dopo la morte del donante.
Voleva ammirare in quelle stanze la più grande raccolta d’arte privata del Meridione: 298 tele del XVII e XVIII sec., 500 stampe dello stesso periodo e tutta la raccolta degli 8.000 volumi della biblioteca con pezzi unici al mondo. E, in quel gioco strano d’incastri che Dio, il fato o l’esistenza ci riserva, a 115 anni esatti da quella data, Peppino, forse stanco, ma non rassegnato, in pace con tutti e soprattutto con il Signore, ha chinato il capo. Non si è arreso, lo spirito da combattente, non glielo avrebbe consentito. L’ha abbandonato il corpo, non più capace di sottendere alla sua volontà, vinto dal dispendio della malattia. Stamane Palazzo, sgomenta e commossa, saluterà l’ultimo viaggio di uno dei suoi figli più cari, di uno di quei figli che ardeva d’amore per il suo paese.