“Mi chiamo Lamin. Provengo dalla Costa d'Avorio. Per arrivare in Italia, a febbraio 2008, sono passato dal Ghana, dalla Turchia e dalla Grecia. Ho dormito nella stazione di Vicenza e sono partito alla volta del Sud. Quando sono arrivato a Palazzo San Gervasio mi sono trovato davvero bene. Non capivo molto la lingua. Penso che l'immigrazione sia da una parte bella, ma dall’altra crudele. Noi oggi siamo come voi eravate 40 di anni fa. Quando veniamo qui, nel periodo della raccolta dei pomodori, ci vengono riconosciuti 3 euro e 50 a cassone. Di questa somma, un po' la devi dare a chi ti ha mandato a lavoro o ti ha accompagnato. Nei campi di raccolta sei senza acqua, anche perché siamo in tanti. E i problemi nascono quando in una struttura che può ospitare 250 persone se ne presentano 700. Giù al campo di accoglienza lo scorso anno ad agosto e fino a ottobre c'erano circa 215 posti letto che ovviamente non erano sufficienti per tutti. Il paradosso è che il lavoro che facciamo qui in Italia in Africa non lo facciamo. La maggior parte di noi, tornando in Africa, non dirà mai quale lavoro abbiamo fatto in Italia... Anche noi rifiutiamo il lavoro che voi, altrettanto, rifiutate qui. Noi spendiamo per arrivare in Italia circa 7/8 mila euro. Siamo costretti per ripagare quel debito contratto anche a vendere le nostre case, i nostri beni più cari. Sei costretto a fare qualsiasi lavoro ti venga proposto. Ecco perché c'è anche gente che è costretta a rubare (non la giustifico, ma posso capire perché lo fanno). Quanti soldi devi guadagnare per ritornare con qualcosa in Africa?”.


La storia di Lamin è come quella di tanti altri migranti che giungono sulle coste del Bel Paese per trovare lavoro, a qualsiasi costo, salvo poi trovarsi a combattere contro la malavita, l’intolleranza e anche la miseria. La storia di Lamin è come quella di tanti altri lavoratori che giungono a Palazzo San Gervasio nel periodo estivo in occasione della raccolta del pomodoro dopo che hanno sgobbato e sono stati sottomessi nella piana del foggiano o del napoletano. In questo periodo la cittadina palazzese ha trovato un posto dove ospitarli alla meno peggio. Il campo di accoglienza degli extracomunitari è situato a Palazzo San Gervasio sulla strada statale ex 168, a circa cinquecento metri dal confine con la Puglia. I lavoratori stranieri arrivano da oltre 10 anni per raccogliere i pomodori. Finora la regione Basilicata ha stanziato 700 mila euro, nel 2009 sono stati riconosciuti ben 75 mila. Tra i tanti migranti c’è chi viene qui ogni anno e ha messo su un piccolo negozio che vende l’indispensabile. Infermieri e medici della Croce Rossa periodicamente visitano il campo per verificare le condizioni di salute degli ospiti. Grazie all’apporto di vari comitati di volontari in supporto ai lavoratori stranieri, sono assicurati servizi come: uno sportello legale e sindacale gestito dalla Cgil; un corso di lingua italiana; un altro di assistenza legale e amministrativa per i rinnovi dei permessi di soggiorno e per tutto quanto necessario per interfacciarsi con la burocrazia italiana. Per arrivare a guadagnare 35 euro un immigrato dovrebbe raccogliere 10 cassoni cioè 30 quintali di pomodoro. Il compenso è al lordo della “tassa” riconosciuta ai caporali che, prevalentemente stranieri, fanno da intermediari tra il bracciante e il datore del lavoro palazzese. A volte i caporali scappano con i soldi lasciando gli ignari lavoratori ad attenderli inutilmente.

Costruito nel 1999 per iniziativa di un apposito comitato costituito per fronteggiare quella che in quegli anni era una vera e propria emergenza, è stato adattato in una struttura che in passato era adibita al commercio di materiale edile. Le centinaia di immigrati e lavoratori stagionali che invadevano le campagne di Palazzo nel periodo della raccolta del pomodoro, bivaccavano nei pressi della Fontana del Fico in condizioni che definire drammatiche era un eufemismo. Lì in pochi metri quadrati, marocchini, tunisini, senegalesi, risiedevano per tutta la durata della raccolta, senza servizi igienici che non fossero quelli forniti da madre natura.

Il comitato fu costituito, all’inizio, per sollevare la questione e far sì che le autorità competenti si attivassero per garantire una struttura decente di accoglienza. Ma in seguito, da promotore il comitato si trasformò in vero e proprio braccio esecutivo che insieme ai volontari della associazione di volontariato Amica, si industriarono per rendere concreto un progetto, segno tangibile di civiltà.
A tutt’oggi nella struttura ci sono bagni e docce e un servizio elettrico. Inoltre, sono previsti spazi per tende, e l’amministrazione, in previsione dell’avvicinarsi della stagione di raccolta, si attiva per fornirne nuove a chi ne è sprovvisto.

Ma il campo, nonostante tutti gli sforzi di amministrazione comunale e Regione, non garantisce ancora i necessari confort e garanzie di sicurezza. A tal punto che, dopo l’ultimo blitz delle forze dell’ordine, avvenuto nel novembre 2009, sono sempre più insistenti le voci che vogliono la chiusura definitiva dello spazio o una sua specifica conversione. È notizia recente di un incontro programmatico nella sala “Vincenzo Verrastro” della Giunta regionale per affrontare le questioni connesse all’accoglienza e l’inserimento lavorativo dei migranti in Basilicata. Più specificatamente dei paesi di Palazzo San Gervasio e Bella. Alla presenza, tra gli altri di Pietro Simonetti, presidente della Commissione regionale per l’immigrazione, e dei sindaci di Bella e Palazzo San Gervasio, sono emerse una serie di decisioni che a breve verranno messe in pratica. Se da un lato il sindaco di Palazzo San Gervasio, Federico Pagano, ha ritenuto ormai superata l’esperienza del cosiddetto “campo di accoglienza”, dall’altro ha assicurato che a breve presenterà un progetto per l’utilizzo di appartamenti sfitti da utilizzare in convenzione per i migranti. Nel frattempo il Comune e l’ambito sociale di zona del Bradano valideranno il progetto predisposto dalla Protezione Civile per la nuova area che sarà utilizzata dopo il completamento per uso plurimo per fini di calamità e accoglienza.



Sul fronte del lavoro nero sono state prese altre importanti decisioni. Già in un convegno intitolato “Immigrati: una risorsa o un problema?”, organizzato il 17 gennaio scorso, Simonetti aveva indicato la soluzione. “Perché non ci rivolgiamo tutti ai Centri per l’impiego per la richiesta di manodopera?”, aveva affermato il presidente della commissione regionale per l’immigrazione. “Solo in questo modo – aveva aggiunto – si potrà debellare il fenomeno del caporalato”. Detto fatto: per quanto riguarda il lavoro stagionale della prossima estate è stato individuato come punto di prenotazione, da parte della manodopera stagionale compresa quella migrante, il Centro per l’impiego di Lavello. In sostanza, i lavoratori interessati dovranno prenotarsi per la campagna anche mediante il numero verde messo a disposizione dalla Regione e i datori di lavoro, nonché le associazioni dei produttori, dovranno in tempo utile indicare il fabbisogno di manodopera sulla base degli ettari coltivati e sulla stima per il raccolto.

Inoltre, l’amministrazione provinciale di Potenza, competente per i Centri per l’impiego, curerà anche l’organizzazione, avendone delega, del servizio di trasporto con navette a chiamata, tutto ciò per eliminare alla radice il grave fenomeno del lavoro nero, del caporalato e del sottosalario.

Se è stata individuata una soluzione per fare in modo che i lavoratori stagionali non siano più ospitati in strutture di fortuna, dall’altro il sindaco di Palazzo San Gervasio, Pagano, non ha nascosto le difficoltà della soluzione prospetta nella riunione programmatica. Ha sostenuto Federico Pagano: “Qui vedremo se la cittadina palazzese, che finora si è distinta per la sua capacità di accogliere i migranti senza che sia accaduto nulla di rilevante in questi ultimi 10 anni, riuscirà a superare potenziali pregiudizi nei confronti dei lavoratori stranieri che alloggeranno in paese (la precedente sistemazione del campo era allocata a circa 3 chilometri di distanza dal centro storico) e ai quali si spera locheranno, con l’intervento regionale, i loro appartamenti”. “Di sicuro sarà una prova del 9 per i cittadini palazzesi sull’argomento ospitalità”.

“Dal 1861 ad oggi sono espatriati 785 mila lucani e ne sono rimpatriati 240 mila: praticamente, se si volesse effettuare una stima complessiva che abbracci prima, seconda, terza e quarta generazione ci sarebbero 1 milione di lucani nel mondo”, ha affermato Pietro Simonetti. “C'è un dato che viene spesso sottovalutato: sono 200 milioni le persone che vivono attualmente fuori dal proprio paese e sono di meno di quelle di 50 anni fa. Che cosa è successo in mezzo secolo che ha fatto diventare un problema quello degli immigrati? Perché tanta rabbia e xenofobia? Nella nostra Regione ci sono 560 mila abitanti, tra 10 anni saremo 480 mila e 12 mila immigrati. é una proiezione demografica certa. E che ne sarà della nostra regione? Meno scuole, meno servizi, meno trasferimenti dello Stato, meno tutto. C'è una soluzione: organizzare i flussi in entrata di quelli che vengono in Italia come immigrati della quarta generazione”, ha poi meglio precisato.

Dal canto suo, il consigliere regionale Francesco Mollica, anch’egli presente all’incontro di Palazzo, ha ribadito:"La recente vicenda di Rosarno ci porta a riflettere su questioni importanti universali, la cultura dell'accoglienza, la tutela dei diritti umani, l'integrazione multiculturale, il rispetto delle regole della convivenza civile, il valore della solidarietà, la responsabilità della politica. E’ importante non dimenticare, da italiani e in particolare da meridionali, che anche i nostri nonni e padri, tanti anni fa, furono denigrati, emarginati, trattati male, sottoposti a regole di vita disumane e costretti a fare lavori umili e sottopagati per sopravvivere, ma ce l'hanno fatta. Il rapporto Censis di qualche settimana fa dice che il 47 per cento dei lavoratori in nero in Basilicata sono tutti extracomunitari. Tale percentuale, confrontata con quella di altre regioni italiane, è una delle più alte. Questo pregiudica la vera integrazione. Le Amministrazioni locali dovrebbero anche fare il censimento delle migliaia di case sfitte e destinarle agli immigrati. Garantire casa e lavoro, non in nero, sono i punti di partenza per dare vita alle prime regole dell’accoglienza sia in Basilicata che in altre parti d’Italia e del mondo”.

Beniamino Placido, l’intellettuale lucano recentemente scomparso, sosteneva sarcasticamente che il razzismo si misurava in rapporto alla distanza. E questo rapporto era inversamente proporzionale: più era lontana la “minaccia”, minori erano i rigurgiti xenofobi. Palazzo San Gervasio e Biella con le proposte abbozzate dalla Commissione (locare case sfitte agli immigrati stagionali) potrebbero finalmente deludere quella triste constatazione. (M. C.)

Fonti:

  • Shukran, Rai Tre, 19 ottobre 2009 http://www.tg3.rai.it/dl/tg3/rubriche/PublishingBlock-b47b0fd9-2803-4d42-9b2d-57dddd2c49e4.html#
  • Il Quotidiano della Basilicata, 9 gennaio 2010, ‘La Basilicata degli emigranti’, di Anna Martino
  • Il Quotidiano della Basilicata, 10 gennaio 2010, ‘Chi cerca le proprie radici’, di Anna Martino
  • Il Quotidiano della Basilicata, 12 gennaio 2010, ‘Dove è finita l’accoglienza’, di Mauro Armando Titta
  • ‘Immigrati: una risorsa o un problema?’, Conferenza Lions Club Genzano Alto Bradano, 17 gennaio 2010
  • Il Quotidiano della Basilicata, 19 gennaio 2010, ‘Questione immigrati’
  • ‘Migranti: le misure definitive’, 20 gennaio 2010, Agr, Basilicatanet.it