Nel mio precedente articolo intitolato “e i palazzesi stanno a guardare”, cercavo di far emergere come, nel passato, non si è mai pensato di intervenire affinché fossero salvate delle testimonianze che ci riconducessero alle nostre origini.
I riferimenti ai vari periodi storici, rilevati anche attraverso la conservazione di luoghi e ruderi, forse oggi sarebbero stati utili per porre la nostra comunità in una condizione di sviluppo diversa.
E’ vero che alcuni esempi erano riferiti a beni immobili privati, ma è altrettanto vero che non c’è mai stata la volontà politica di intervenire a favore della conservazione della memoria storica della nostra comunità.
Non si può accettare quanto è successo dicendo che questa è “la logica conseguenza dello sviluppo della civilizzazione” altrimenti, nel mondo, non avremmo più niente che ci ricordasse il passato.
Ormai ci dobbiamo rassegnare poiché non è possibile riportare in vita ciò che abbiamo distrutto.
Il vero problema, oggi, è la diatriba: TRADIZIONI SI’, TRADIZIONI NO”.
Non dimentichiamo però che le tradizioni sono il DNA dei popoli, come testimoniano i tanti giovani che sentono l’esigenza, sempre più crescente, di riscoprire il proprio dialetto e i propri usi e costumi.
Per renderci conto di ciò, prendiamo come esempio la festa del Santo Patrono della città di Potenza che si celebra il 30 maggio, pur non essendo quella la data in cui ricorre la memoria di San Gerardo, bensì il 3 ottobre. Tuttavia a nessun potentino verrebbe mai in mente di spostare tale festa in altra data, poiché quella è la loro tradizione.
D’altronde, non sarebbe possibile cambiare una delle tante tradizioni in quanto, queste ultime, vengono salvaguardate dal Codice di Diritto Canonico nel capitolo “CONSUETUDINE”.
“Ha forza di legge soltanto quella consuetudine, introdotta dalla comunità dei fedeli, che sia stata approvata dal legislatore, a norma dei canoni che seguono”.(Can.23 Codice di diritto canonico)
Ma veniamo alla diatriba del momento e cioè il cambiamento apportato alla tradizione della Madonna di Francavilla. Non posso credere che questo sia “un problema ormai superato”, come afferma qualcuno in una lettera a me indirizzata.
Piuttosto, io penso che sia una strategia a difesa della volontà di quel qualcuno che vorrebbe invalidare il coro di proteste di tanti palazzesi, contrari al cambiamento, e imporre l’iniziativa, spacciandola per popolare. A conferma di ciò, basti pensare che l’invito al Vescovo per la chiusura del mese Mariano sia stato fatto da laici (tramite un fax con raccolta di firme) e in seguito, le stesse persone, abbiano informato i rappresentanti del clero.
Ora, io invito tutti coloro che leggono tali articoli a riflettere e valutare se chi li scrive sia disinteressato o abbia dei secondi fini.
Può una petizione sottoscritta da cinquanta firmatari esprimere una volontà popolare al punto di indurre il nostro Vescovo a prendere una decisione così importante?
La questione non è assolutamente da ritenersi chiusa, come qualcuno vuole far credere, facendosi forte delle parole dette a tale riguardo dal nostro Vescovo.
Infatti, se dobbiamo prendere alla lettera ciò che Sua Eccellenza asserisce, dovremmo fare un’altra riflessione e chiederci: come mai non si è tenuto fede a quanto da lui detto nell’omelia della celebrazione di insediamento di Don Nicola durante la quale, per consolare i fedeli di Anzi, fu assicurato che ogni sacerdote non può stare nella stessa parrocchia per più di dieci anni?
A Palazzo però questo non è avvenuto, visto che il nostro amato, popolare e altruista don Teodosio ha, da molto tempo, superato tale limite.
Così, io mi chiedo se anche per queste questioni vale ciò che si dice per la giustizia terrena: ”la legge è uguale per tutti”. Ma siamo davvero tutti uguali davanti alla legge?
Infine voglio proprio sperare che almeno la giustizia divina sia al di sopra di interessi di parte e di grossolani tornaconti.