SPINAZZOLA - Contro l’impianto solare termodinamico della Teknosolar oltre a numerose associazioni locali e nazionali si sono espressi con propri atti i Comuni di Palazzo San Gervasio, Genzano di Lucania, Montemilone, Maschito, Ripacandita ed il Comune di Spinazzola, il cui confine è a pochissimi metri dalla eventuale estensione di specchi. Ora anche le Procure di Trani e di Potenza dovranno occuparsi della richiesta e procedure svolte fin qui per l’impianto ibrido solare termodinamico da 50 Megawatt avanzato dalla società Teknosolar 2 srl di Matera (amministratore unico Giovanni Fragasso) che dovrebbe essere realizzato su una estensione di 226 ettari nel territorio di Banzi, al confine con Palazzo San Gervasio e Spinazzola.

Tanto è emerso nell’assemblea che si è tenuta in piazza San Rocco, a Palazzo San Gervasio. L’iniziativa è stata organizzata dall’Associazione Intercomunale Lucania, presieduta da Maurizio Tritto. Vi hanno partecipato il sindaco di Palazzo San Gervasio, Michele Mastro, l’ing. Donato Cancellara, che si sta occupando dell’analisi degli atti relativi all’impianto della Teknosolar e il giornalista Cosimo Forina della Gazzetta del Mezzogiorno.
Hanno presentato l’esposto, quindici dei diciotto sindaci che costituiscono l’area di programma Vulture Alto Bradano: i primi cittadini di Atella (Michele Telesca), Barile (Antonio Murano), Genzano di Lucania (Alessandro Filippetti), Lavello (Sabino Altobello), Palazzo San Gervasio (Michele Mastro), Rapone (Felicetta Lorenzo), Ripacandida (Vito A. Remollino), San Fele (Donato Sperduto), Maschito (Antonio Mastrodonato), Montemilone (Gennaro Mennuti), Rapolla (Michele Sonnessa), Rionero in Vulture (Antonio Placido), Ruvo del Monte (Donato C. Romano), Venosa (Tommaso Gammone) e il vicesindaco di Melfi (Luigi Simonetti).

La conferenza dei sindaci ha dato tra l’altro pieno mandato al sindaco di Palazzo San Gervasio di agire «in difesa dell’identità culturale e sociale del territorio, al fine di scongiurare ogni tipo di speculazione politica ed economica». Quanto ribadito ormai da mesi dall’Associazione Intercomunale Lucania e dallo stesso ing. Cancellara autore di studio del territorio supportato da diversi professori universitari della Federico II di Napoli, suoi numerosi esposti ed osservazioni già inoltrati a parecchi enti, ha trovato sintesi e sostegno nell’atto deliberato dei sindaci. E le notizie di reato o di illegittimità sembrano davvero non mancare. L’impianto, viene sottolineato, intanto, «non produce elettricità completamente “pulita” poiché utilizza anche combustibile fossile, gas in particolare».

Smisurato risulterebbe il consumo del suolo che, sempre secondo gli esperti, «per le sue peculiarità costituisce un patrimonio genetico raro, di uno straordinario ecosistema, irriproducibile alla scala della vita umana». Un suolo che, oltre ad essere occupato dagli edifici che costituiscono la centrale, sarebbe invaso da 8640 specchi parabolici, da piazzare con 9000 trivellazioni con fondazioni dai 4 agli 8 metri di profondità di cemento armato da 0,8 ad un metro di diametro, tra l’altro, parzialmente immersi nella falda acquifera. A tutto ciò si aggiungerebbe la radicale asportazione dello strato superficiale di mezzo metro di terreno per 200 ettari mediante lo sbancamento di un milione di metri cubi di humus superficiale che comprometterebbe in modo devastante la fertilità dell’intera area. Per non parlare delle emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti come il benzene, il fenolo, ossidi di azoto. L’ing. Donato Cancellara ha esplicitato mediante proiezioni di filmati e slide quello che l’impianto prevede, In particolare l’uso di olio diatermico che risulta essere pericoloso per l’ambiente la cui scheda tecnica dichiara che «contiene uno o diversi componenti che hanno causato il cancro in animali di laboratorio. Comunque i componenti non sono genotossici, e non si conosce la rilevanza del potenziale cancerogeno per l’uomo».