Spinazzola: Non si attenua la polemica sulla realizzazione di un impianto su un’area di 236 ettari al confine con Palazzo San Gervasio
MEGAIMPIANTO, RIBADITE LE CRITICHE
Prosegue il confronto a distanza tra Associazione Intercomunale e Teknosolar Italia 2
di Cosimo Forina
Duello a distanza tra l’Associazione Intercomunale Lucania di Palazzo San Gervasio, presidente Maurizio Tritto, e Giovanni Fracasso, Amministratore Unico della società Teknosolar Italia 2 S.r.l. di Matera che aspira a costruire un mega impianto solare termodinamico in agro di Banzi, su 236 ettari a confine con Spinazzola e Palazzo San Gervasio. La Teknosolar nei giorni scorsi ha sostenuto, dopo l’articolo apparso sulla “Gazzetta” il 20 maggio, che l’individuazione della piana di Banzi è pressoché obbligata: «Nella regione Basilicata non esistono aree industriali dismesse aventi superfici neanche approssimativamente compatibili con quelle necessarie per la tipologia d’impianto solare termodinamico con specchi parabolici lineari». Si ribatte invece dall’Associazione: «il non aver individuato aree industriali dismesse non giustifica il dover invadere una vasta area agricola ad alta fertilità, definita “un patrimonio genetico raro, di uno straordinario ecosistema, irriproducibile alla scala della vita umana. Di più, si tratta di suoli che presentano una suscettività per l’agricoltura (classi I^ e II^ di Land Capability) estremamente elevata».
L’IMPIANTO
Significative al riguardo le caratteristiche dell’impianto da 50 Mw come quello della Teknosolar. Si tratta «di un progetto che prevede l’asportazione - afferma l’ing. Donato Cancellara componente dell’associazione, - di circa 1.000.000 di metri cubi corrispondenti alla rimozione di un primo strato superficiale di circa 50 cm, questo per il suolo costituisce un danno grave anche sotto il profilo genetico, oltreché funzionale, poiché diminuisce la Pedodiversità e pur aggiungendo “terra” per ripristinare la fertilità agricola non si riuscirebbe a ricreare il microsistema di scambi gassosi e idrici esistenti al momento dell’alterazione». «Non è il territorio,- aggiunge Tritto, - a doversi adeguare all’abnorme dimensione dell’impianto, inevitabilmente legato agli oltre 1.2 miliardi di euro di incentivi statali in 25 anni. Il territorio scelto non è il deserto dell’Africa, degli Emirati Arabi o della California, ma presenta fragilità e tante peculiarità che vanno rispettate».
La società sostiene che il perimetro dell’impianto non è interessato da vincoli ma «L’area, - si sottolinea - è interessata da un vincolo paesaggistico imposto, ope legis, dall’art. 142 comma 1 lettera c) del decreto legislativo 387/2003. La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Regione Basilicata si è già espressa con un suo definitivo parere negativo, nel Dicembre 2013, richiamando esplicitamente all’interferenza paesaggistica dell’impianto e non solo. Surreale che la società parli di errori nelle cartografie dell’Istituto Geografico Militare (I.G.M.). Forse avrebbe fatto meglio a leggere più attentamente le carte storiche ed ufficiali».
Altro punto controverso è l’impermeabilizzazione del terreno con cemento e asfalto. La società ha dichiarato che le superfici occupate dal blocco di potenza e dalla viabilità interna saranno pari a 3%
circa delle superfici totali. «Si dimentica di far conoscere le ulteriori opere di cementificazione riguardanti il “bombardamento ” del terreno realizzato tramite le 9000 trivellazione con i suoi 9000 pali di cemento armato (dai 4 agli 8 metri di profondità) con diametro da 1 a 0.8 metri, in parte annegati nella falda sottostante. Inoltre, la società continua nel sostenere che “tutti gli spazi intercorrenti tra le file di specchi saranno ricoperti da terreno vegetale e il mantenimento del prato allo spessore stabilito sarà garantito da un gregge di ovini». «Sui terreni interessati si svolge un’agricoltura florida – si precisa inoltre - che non ha bisogno della pastorizia cui fa riferimento la società materna».
LA RIQUALIFICAZIONE
Tra gli interventi di riqualificazione ambientale, viene sostenuto dalla Teknosolar, la creazione di una zona boscata con circa 20.000 piante nell’area circostante l’impianto. «La Soprintendenza afferma nel suo parere di diniego che “la realizzazione dell’impianto immetterebbe all’interno della piana elementi dirompenti del tutto estranei all’armonica estensione dei campi coltivati a cereali alternati a piccoli boschi e abitazioni agricole tipiche dell’attuale tessitura agricola». Ed inoltre «la mitigazione da realizzare che è una semplice ed inutile perimetrazione arborea ad alto fusto dell’impianto, comprometterebbe ulteriormente la percezione del paesaggio attuale e della sua valenza naturale». La società parla di interventi di supporto economico, tecnico e commerciale a favore degli agricoltori titolari di diritti nell’area di sedime. «L’utilizzo di oltre 30.000 metri cubi di olio diatermico pericoloso per l’ambiente e che nella scheda tecnica, sezione “Tossicità cronica e cancero genicità”, afferma testualmente “Contiene uno o diversi componenti che hanno causato il cancro in animali di laboratorio. Comunque il/i componenti non è/sono genotossico/i, e non si conosce la rilevanza del potenziale cancerogeno per l’uomo, non ci entusiasmano affatto. Ovviamente, la società rassicura sugli incidenti, parlando del nulla osta ricevuto dai Vigili del Fuoco, ma dimentica che l’utilizzo di olii diatermici rendono il suo impianto di prima generazione con un impatto sull’ambiente, potenziali rischi e danni tutt’altro che marginali». Ovvero? «La società sostiene che “il risultato progettuale che ne è scaturito rappresenta il massimo fino ad ora prodotto a livello globale in termini di sicurezza per questa tipologia d’impianti”, ma dimentica che la tipologia di impianti interamente basata su Sali fusi (sia come fluido termovettore sia come accumulatore di calore) è nettamente più sicura rispetto a quella prospettata. Infatti, la stessa Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) nel “Quaderno del solare termico” del Luglio 2011, afferma che “gli impianti di seconda generazione si caratterizzano oltre che per le migliori prestazioni, soprattutto per il superamento dei limiti posti dall’utilizzo dell’olio diatermico come fluido termovettore. Questo fluido limita la temperatura massima di esercizio a meno di 400 °C, ed inoltre comporta rischi per la sicurezza e per l’ambiente, essendo altamente infiammabile ed inquinante. E poi stiamo parlando di un impianto ibrido che funzionerà sia con il sole che con gas, con quello che ne deriva come emissioni». Sulla prospettiva di rispedire le lettere inviate dalla Teknosolar agli agricoltori: «Rassicuriamo la società che, ad oggi, i rifiuti alle sue offerte sono ufficiosi, ma a giorni verranno ufficializzati».
Fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it